Se muore il titolare di una ditta individuale, chi paga i debiti?

Chi paga i debiti dopo la morte del proprietario di una ditta individuale

Spesso ci si chiede cosa succede ad una ditta individuale nel caso del decesso del suo titolare. Senza dubbio l’impresa, proprio come tutti gli altri beni, alla morte del proprietario entra a far parte del suo patrimonio ereditario.

Questo significa che, di norma, anche su di essa si viene a creare una comunione tra gli eredi, i quali ne diventano comproprietari per le rispettive quote, fino a che non viene disposta una divisione dell’eredità.
L’unica eccezione si presenta se ci sono specifiche disposizioni testamentarie, in forza delle quali l’impresa viene destinata solo ad alcuni degli eredi.

In ogni caso, l’erede che diventa nuovo proprietario della ditta, ne acquisisce l’intero patrimonio, compresi gli eventuali crediti e debiti.

Di conseguenza, laddove il solo patrimonio sociale dell’impresa si riveli insufficiente a soddisfare i debiti contratti in precedenza dall’imprenditore, i creditori sono legittimati ad agire anche sul resto del patrimonio, e, se anche questo dovesse rivelarsi insufficiente, anche su quello dei suoi eredi, senza alcun limite.

Alla morte del titolare, l’erede diventa automaticamente proprietario dell’impresa?

Non necessariamente. Alla morte del titolare dell’impresa, l’erede ha tre opzioni: accettare l’eredità, farlo con beneficio di inventario o rifiutarla.

Vediamo nel dettaglio questi tre casi.

In caso di accettazione dell’eredità l’azienda si trasferisce, con tutti i suoi debiti, nel patrimonio dell’erede, con le conseguenze che abbiamo già descritto. L’accettazione può e deve essere effettuata nel termine di 10 anni dall’apertura della successione.
L’accettazione pura e semplice può avvenire in maniera espressa, vale a dire mediante un’apposita dichiarazione contenuta in un atto pubblico o in una scrittura privata con cui l’erede dichiara di accettare l’intero patrimonio ereditario del defunto. L’accettazione non può, infatti, essere parziale, ovvero avere ad oggetto solo alcuni bene dell’asse ereditario.
L’accettazione può, tuttavia, anche essere tacita, ipotesi che si verifica allorquando il chiamato all’eredità compia un atto dispositivo dei beni ereditari, tale da fare necessariamente presupporre la sua volontà di accettare l’eredità (ad esempio: la vendita di uno dei beni contenuti nell’asse ereditario).

Nel caso di rinuncia totale all’eredità, bisogna fare una dichiarazione, da consegnare a un notaio o al cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione e da inserire nel registro delle successioni, con la quale l’erede manifesta la volontà di non subentrare al defunto nei suoi diritti e rapporti.

Esiste, tuttavia, una terza opzione: l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario.
Si tratta di un procedimento che consente all’erede di accettare l’eredità limitando, però, la propria responsabilità per i debiti ereditari entro i limiti di valore dell’attivo ereditario.
Si verifica nei fatti un fenomeno di separazione dei patrimoni (quello ereditario e quello personale dell’erede), pur appartenenti entrambi al medesimo soggetto. In forza di questa particolare modalità di accettazione, i creditori dell’eredità possono soddisfarsi esclusivamente sul patrimonio ereditario.

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